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Relazione dei Hans-Christian Ströbele e Annelie Buntenbach sul loro viaggio a Genova (italiano)

30.07.2001: Relazione dei deputati Annelie Buntenbach e Hans-Christian Ströbele sul loro viaggio a Genova al 25 e 26 luglio 2001

Traduzione

Relazione dei deputati

Annelie Buntenbach e Hans-Christian Ströbele

sul loro viaggio a Genova al 25 e 26 luglio 2001

Dopo i primi reportage e notizie dei giornali sugli arresti avvenuti a Genova in seguito all'incontro al vertice del G8, lunedì, 23 luglio 2001, i deputati Cem Özdemir e Hans-Christian Ströbele hanno emesso un comunicato stampa in cui si chiede di far luce sugli avvenimenti di Genova, in particolare sulle circostanze che hanno condotto agli arresti, e si pretende la costituzione di una commissione d'inchiesta internazionale indipendente (vedi allegato 1).

Già domenica, 22 luglio il membro del Bundestag tedesco, signora Buntenbach, aveva ricevuto le prime telefonate in cui si esprimevano preoccupazioni sul luogo di permanenza e sullo stato di salute di amici e familiari che erano partiti per Genova con l'intenzione di partecipare alle proteste contro il vertice del G8. In particolare le notizie sui sanguinosi arresti nella scuola Diaz avevano dato adito a timori. Nonostante i tentativi del Ministero degli Esteri tedesco di ricevere informazioni dalla polizia di Genova, la situazione, lunedì, 23 luglio, era diventata ancora più confusa.

Nel corso di martedì il deputato Ströbele aveva ricevuto notizie e annunci dall'Italia dai quali risultava che gli arrestati erano stati seriamente maltrattati nonché picchiati e torturati nelle stazioni di polizia. Sembrava che diversi manifestanti provenienti dalla Germania erano stati ricoverati in ospedale con ferite gravi e che non era stato permesso l'accesso ai carcerati né ai parenti più stretti né agli avvocati. Neanche dal consolato tedesco si potevano ricevere informazioni affidabili. Con sempre maggiore insistenza le persone che telefonavano pregavano che dei membri del parlamento tedesco si recassero a Genova per prendere contatto con i prigionieri e rendere noto quello che era successo.

Nel corso del pomeriggio (martedì, 24 luglio) il deputato Ströbele prese la decisione di partire l'indomani per Genova. Il Ministero degli Esteri aveva promesso telefonicamente l'appoggio da parte del consolato tedesco di Milano. Il sig. Höpfner e più tardi il sig. Hartmann del Ministero degli Esteri prestarono il loro aiuto per i preparativi del viaggio. Alla sera dello stesso giorno i deputati Ströbele e Buntenbach, che aveva pure deciso per conto suo di intraprendere il viaggio, presero accordi per incontrarsi il giorno successivo a Genova e cercare insieme di far visita ai prigionieri.

Incontri a Genova

Mercoledì (25 luglio), verso le ore 12.00, il deputato Ströbele, accompagnato da un giornalista e dal fratello del prigioniero, sig. A, era arrivato a Genova. La madre di questo prigioniero aveva pregato il deputato Ströbele, nella notte precedente al telefono, di far visita al figlio. Il deputato Ströbele era stato ricevuto dal Console Generale, signora Mayer-Schalburg. Già all'aeroporto si erano incontrati con una delegazione di tedeschi, provenienti da Milano, facenti parte del coordinamento per i manifestanti arrestati.

Questi ultimi hanno raccontato di essere stati presenti la notte tra sabato e domenica nella sede del Genoa Social Forum a Genova quando era avvenuta la perquisizione da parte della polizia. Nella sede del Genoa Social Forum era stato allestito un centro per la stampa e la comunicazione in occasione del vertice del G8. Da esso, dicevano, si era cercato pure di coordinare i manifestanti. Nella notte tra sabato e domenica, quindi parecchie ore dopo la fine dell'ultima manifestazione, raccontavano, la polizia era entrata nei locali del Forum. Tutte le persone che si trovavano all'interno, avevano dovuto distendersi a terra. Grazie all'intervento di un deputato del Parlamento Europeo, la polizia si sarebbe limitata tuttavia a perquisire i locali e non sarebbe successo nulla di peggio.

Assieme alle persone del Genoa Social Forum si trovava pure una giornalista. Quest'ultima ha riferito di essere stata portata assieme ad un suo amico giornalista nella questura di Genova. Nel piano più alto della stessa, a destra immediatamente vicino alle scale, erano stati portati in una stanza che aveva un cartello sulla porta con la scritta "Narkortraffic" o simile. Nella stanza stessa avevano dovuto mettersi al muro. Poi erano stati minacciati dai poliziotti. I due avevano mostrato le loro tessere di giornalisti. Mentre queste ultime venivano controllate avevano sputato loro addosso e li avevano umiliati. I poliziotti avrebbero tenuto i pugni appoggiati alle loro teste e avrebbero fatto crocchiare le articolazioni. Sulla parete era appeso un calendario pornografico, che poi era stato spostato. Dietro ad esso c'era una foto di Mussolini e simboli fascisti. Finito il controllo delle tessere, erano stati lasciati liberi.

Alla fine della perquisizione nel centro del Genoa Social Forum, hanno continuato, la polizia aveva assaltato la scuola Diaz che si trovava di fronte, sull'altro lato della strada. La gente che c'era nel Genoa Social Forum aveva potuto osservare l'assalto. La polizia, con un'autovettura, aveva sfondato il portone d'ingresso al cortile antistante la scuola. Poi un gran numero di poliziotti era entrato nella scuola stessa. Sopra l'edificio roteavano due elicotteri. Precedentemente né dal Genoa Social Forum né dalla scuola erano partite azioni di violenza di nessun tipo. La scuola serviva da luogo di pernottamento dei manifestanti.

Poco dopo l'irruzione della polizia si erano sentite urla e grida. Ben presto erano state trasportate fuori delle persone su barelle. Con la polizia erano già arrivate delle autoambulanze, che erano rimaste in sosta davanti alla scuola. In queste autoambulanze erano stati portati i feriti. Tutti gli altri erano stati fatti uscire dalla scuola ed erano stati trasportati via con le autovetture della polizia. Si trattava, hanno riferito, di parecchio dozzine di persone.

Dopo la partenza della polizia nella scuola dappertutto, sul pavimento, sulle pareti e sulle porte, si notavano schizzi di sangue. Tutto l'arredamento era stato distrutto. Nelle stanze erano sparsi abiti, oggetti e altre cose che servono in viaggio.

La gente del Genoa Social Forum ha pure raccontato che nei giorni precedenti, a Genova erano stati ripetutamente arrestati dei giovani, senza evidente motivo, estraendoli dalle automobili. Gli stessi erano poi stati picchiati nelle stazioni di polizia. Il Console Generale ha confermato che anche lunedì e martedì (23 e 24 luglio) erano stati arrestati dei giovani tedeschi, tirandoli fuori dalle macchine, e che in quel momento i fermati si trovavano nelle prigioni di Genova. In seguito a questi fatti la gente del Genoa Social Forum, non sentendosi più sicura a Genova, si era trasferita a Milano dove aveva cercato di organizzare aiuti per i carcerati. Fino allora, non era stato possibile prendere contatto con gli stessi. Anche ai più stretti familiari, madri, genitori, fratelli e sorelle, era stata rifiutata una visita. I familiari avevano solamente saputo dai medici che gli arrestati venivano curati e che, considerando le loro condizioni, stavano bene. La polizia che stava in picchetto di guardia, impediva qualsiasi contatto dei prigionieri con i congiunti. Anche gli avvocati, fino allora, non avevano potuto parlare con i prigionieri.

Ospedale San Martino a Genova

Il deputato Ströbele si era poi recato assieme al Console Generale prima di tutto all'Ospedale San Martino a Genova per far visita alle donne gravemente ferite, lì in arresto. Quelli di Milano li avevano pregati di rimanere sempre in contatto visivo con la loro autovettura perché avevano paura di venir fermati ed arrestati.

Nell'Ospedale San Martino il deputato Ströbele aveva incontrato un'infermiera che era stata presente al momento del ricovero dei giovani feriti nella notte. Lei ha riferito che i feriti piangevano e gemevano in diverse lingue. Era stato terribile. I feriti erano stati tormentati e picchiati da poliziotti addirittura nell'ospedale. Domenica, 22 luglio, si erano dovute fare diverse operazioni d'urgenza. L'infermiera era pronta a mettere a disposizione del deputato il suo numero di telefono per eventuali ulteriori domande.

In ospedale erano arrivati nel frattempo due deputati del Parlamento italiano, Graziella Maschia e Vincenzo Marco. Con loro è stata stabilita una collaborazione e un continuo scambio di informazioni.

Inizialmente al deputato Ströbele e al Console Generale non era stato dato il permesso di accedere ai prigionieri malati. Un avvocato aveva comunicato che i prigionieri stavano venendo interrogati da una signora giudice, che avrebbe anche deciso sul proseguimento dell'arresto.

Circa un'ora e mezza dopo erano potuti entrare nel reparto chiuso dell'ospedale. Nel corridoio si trovavano sei poliziotti e due poliziotte. Nella camera erano ricoverate due ragazze, una spagnola e la tedesca B..

La signora B. ha riferito che nel frattempo si sentiva relativamente bene. Lamentava ancora mali di testa. Nella notte da sabato a domenica si era fermata nella scuola per pernottare fino all'orario di partenza del treno. All'improvviso inaspettatamente avevano fatto irruzione nella scuola dei poliziotti. Si trattava di agenti dell'unità Digos. Lei aveva alzato le mani e gridato: "Okay, Okay" e "Peace, peace". Non si sarebbe neanche potuto pensare ad un'azione difensiva. Lei non aveva visto nessuno che avesse fatto resistenza o atti di violenza. La gente aveva cercato di scappare dall'atrio prendendo le scale che portavano ai piani alti. Lei stessa si era presa una o più manganellate sulla testa. Aveva perduto i sensi e si era risvegliata lunedì in ospedale. Aveva subito una grave commozione cerebrale e una considerevole ferita alla testa. In quel momento però si sentiva meglio. Il trattamento in ospedale era sufficiente e adeguato. Non le era stato permesso avere contatti con i parenti. Durante l'interrogatorio aveva detto le stesse cose alla signora giudice.

La signora B. è una donna minuta. Non ci si può immaginare che questa donna possa mettere seriamente in pericolo un poliziotto o possa fargli resistenza.

Durante il colloquio era stata portata nella camera la prigioniera tedesca, signora C. sul suo letto a rotelle. Al primo momento non riusciva a parlare. La signora giudice aveva interrotto il suo interrogatorio perché la signora C. non poteva più parlare a causa dei dolori. Poi aveva ricevuto un'iniezione antidolorifica. Dopo un po' era riuscita a parlare. La signora C. ha raccontato che era stata bastonata brutalmente dai poliziotti nella scuola Diaz. Ha mostrato una ferita superficiale alla testa della dimensione del palmo di una mano. Inoltre un poliziotto l'aveva presa a calci al petto con gli stivali. Le era entrato sangue nei polmoni. Mentre parlava, scorreva attraverso un tubo flessibile il sangue uscente dai polmoni in una bacinella. Lamentava forti dolori al petto. Si sentiva molto debole. Anche lei è una donna minuta. Ha riferito che gli assaliti non avevano fatto né resistenza né atti di violenza. Tutti avevano avuto solamente paura e avevano cercato di nascondersi.

Alla relativa domanda del Console Generale, la signora C. l'ha pregata di informare un invalido grave, che lei segue, cura e accompagna fuori ogni giorno, che lei non poteva più andare da lui e che doveva trovarsi un'altra persona che lo assistesse. La signora C. si è espressa positivamente sul trattamento ricevuto in ospedale.

Dopo aver lasciato la stazione ospedaliera il deputato Ströbele era stato nuovamente ricevuto e aveva avuto l'occasione di vedere brevemente un giovane inglese, gravemente ferito e ricoverato nella stessa stazione. Non gli era stato permesso un colloquio.

Nell'Ospedale San Martino la signora Console Generale e il deputato Ströbele avevano cercato il tedesco D., gravemente ferito, che era ricoverato in un altro edificio in una stanza separata, riservata alle persone appena operate. La piccola cella confinava con un corridoio dal quale si poteva vedere tutta la stanza attraverso una larga finestra. Alla finestra c'erano sempre due poliziotti in piedi o seduti che tenevano sott'occhio il prigioniero nel letto. Almeno tre altri poliziotti si intrattenevano nel corridoio davanti alla camera. Nel corridoio la madre del ferito stava aspettando che la lasciassero entrare dal figlio. Per entrare nella stanza del malato bisognava indossare indumenti ospedalieri. I preparativi erano a loro volta durati quasi un'ora.

Il prigioniero D. ha riferito di essere stato sbattuto a terra e arrestato nella scuola. Aveva subito una larga ferita alla testa. Domenica, 22 luglio, era stato sottoposto ad un'operazione d'urgenza perché in seguito al colpo ricevuto alla testa gli si era formato un grumo di sangue grosso come un uovo. L'operazione aveva avuto un esito positivo. Ora si sentiva meglio, però lamentava ancora dolori alla testa. In particolare soffriva per il fatto che i poliziotti lo osservavano continuamente dalla finestra e cercavano di innervosirlo. Non era mai rimasto un solo secondo inosservato.

Nella scuola non aveva tentato di difendersi e non avrebbe neanche potuto farlo. Aveva cercato invece di sfuggire alla polizia salendo nei piani più alti. Era stato pestato brutalmente.

In ospedale veniva curato bene. La polizia gli aveva preso tutto quello che aveva con sé, anche i suoi documenti. Aveva avuto con sé anche dei giornali, ma gli avevano portato via anche quelli.

Ospedale Galleria a Genova

Poi i visitatori si erano recati in visita all'Ospedale Galleria. Dopo una lunga attesa erano stati fatti entrare nella stanza del sig. A, un ferito grave proveniente dalla Germania meridionale, che lo stesso giorno aveva ricevuto la visita del fratello, arrivato dalla Germania assieme al deputato Ströbele. Davanti alla sua porta erano di guardia tre poliziotti. Durante la visita la porta doveva rimanere aperta.

L'arrestato faceva fatica a parlare. Non poteva muovere la mascella inferiore. Aveva riferito che mentre era disteso a terra nella scuola, era stato colpito in faccia da parecchie manganellate di un poliziotto con la conseguenza che entrambi i lati della sua mascella inferiore avevano subito una rottura e erano stati fracassati. Ora erano stati avvitati insieme in ospedale sotto anestesia totale. Continuava ad avere dolori. Nella scuola si trovava per dormire. Si erano gettati a terra e gridato "Ci arrendiamo". Ciononostante erano stati picchiati. Un poliziotto gli aveva tenuto una pistola puntata tra gli occhi e gli aveva gridato: "Assassino, assassino". Poi erano stati portati all'ospedale. Lui aveva visto come anche altre persone, che erano distese per terra, erano state picchiate dai poliziotti con manganelli e stanghe.

A. lavora in una "iniziativa riunita antirazzismo". Sua madre aveva comunicato che il figlio era attivo nella Aktion Sühnenzeichen (Azione segni di pentimento). A. non ha potuto contattare i familiari. Appena quel giorno aveva ricevuto la visita del fratello.

L'ultimo carcerato visitato mercoledì è stato il sig. E. che si trovava nell'ospedale Galleria, dove era ricoverato in una camera con due altri pazienti, diviso da essi da un paravento. Vicino al suo letto c'erano due poliziotti. Anche lui era stato arrestato nella scuola. Aveva pure cercato di scappare. Nella scuola nessuno aveva cercato di difendersi o di usare la violenza. E. era stato ferito alla testa ed era caduto a terra. Aveva subito una grande ferita superficiale alla testa. Il sig. E. ha riferito che nei primi giorni era stato tenuto legato al letto con le manette. Era stato picchiato anche durante il trasporto all'ospedale. La stessa cosa hanno riferito anche altri, sentiti successivamente.

Carcere a Vercelli

Poi la delegazione era partita verso Vercelli che si trova a un'ora e mezza di distanza in automobile. Nella prigione di quella città erano tenute in carcere due tedesche, le signore F. e G.. Già durante il viaggio era arrivata la notizia che le due donne e altri prigionieri erano stati appena scarcerati. La deputata Buntenbach, che nel frattempo era giunta dalla Germania passando per Milano e stava aspettando davanti al carcere, lo aveva confermato. Ciononostante il gruppo ha continuato il viaggio sperando di poter lo stesso incontrare le donne appena liberate e parlare con loro. La notizia della liberazione delle due donne era arrivata al Console Generale e al deputato Ströbele mentre erano in viaggio verso Vercelli. Arrivati lì, tuttavia, non avevano più trovato le donne scarcerate.

Nella prigione di Vercelli erano rimaste incarcerate due tedesche, le signore F. e G.. Quando la deputata Buntenbach era arrivata lì, poco dopo le ore 17.00, era appena terminata il riesame della carcerazione. Davanti alla prigione si trovava un gruppo di 10-15 persone, tra le quali avvocati, giornalisti, familiari e amici che aspettavano l'imminente scarcerazione delle persone che erano state arrestate precedentemente nella scuola Diaz. Le autovetture della polizia erano lì pronte per portare subito via le persone rilasciate. La polizia aveva cercato, dove poteva, di impedire il contatto con chi aspettava. Solamente dopo che la deputata Bundenbach si era identificata come membro del Parlamento tedesco e dopo l'intervento del direttore del carcere, sopraggiunto nel frattempo, le era stato possibile parlare almeno per due minuti con le due tedesche che già si trovavano in una delle macchine della polizia.

Le due signore avevano detto che stavano abbastanza bene. La ferita visibile erano un piercing strappato dal naso che aveva provocato un'infiammazione. Le due donne avevano detto che sarebbero state espulse e rispedite contro la loro volontà in Germania in un aereo in volo verso Amburgo. Una delle due voleva andare da amici che si erano fermati a Milano, l'altra voleva sì tornare in Germania, ma non ad Amburgo, bensì nel sud. La deputata Buntenbach non era riuscita ad impedire il trasporto da parte della polizia verso l'aeroporto di Milano. Nel tentativo di scoprire i fondamenti giuridici che motivavano l'espulsione, un'avvocatessa di Vercelli aveva comunicato che tutti gli scarcerati che non possedevano la cittadinanza italiana, venivano portati oltre il confine dopo la loro scarcerazione per ordine del giudice istruttore. L'avvocatessa aveva raccontato il caso di una persona con doppia cittadinanza, di cui una italiana, che era stata pure portata oltre confine sebbene i genitori dovevano andarla a prendere davanti al carcere.

Questa procedura, diceva, veniva adottata per tutte le persone rilasciate il giorno stesso e quello successivo. Gli espulsi venivano espatriati per via aerea, in treno o con un bus. Questa procedura era piuttosto fastidiosa per tutte le persone coinvolte, i loro familiari e gli amici. Un gran numero di parenti erano venuti apposta in Italia per andare a prendere i loro congiunti. Degli scarcerati dai carceri di Pavia e Voghera che erano stati accompagnati dalla polizia in direzione Brennero nella notte fra mercoledì e giovedì, molti esprimevano i loro timori perché sarebbero stati di nuovo senza alcuna protezione nelle mani della polizia, dalla quale erano già stati malmenati nella scuola Diaz o alla stazione di polizia.

Il fondamento giuridico al quale si riferiscono queste "espulsioni", si è potuto chiarito nel corso della giornata di giovedì con l'aiuto del Consolato Generale. Si tratta di un decreto del 1965, aggiornato dalla Convenzione di Schengen, secondo il quale "l'allontanamento" è legale se esiste un pericolo particolare per la sicurezza pubblica. Come erano venuti a sapere i deputati Buntenbach e Ströbele giovedì dal questore, questa misura era stata direttamente ordinata dal Ministero dell'Interno ed applicata dal prefetto di Genova. Probabilmente con essa si voleva evitare che i prigionieri rimanessero sul luogo a disposizione per relazioni e interviste.

La sera tardi la deputata Buntenbach aveva ricevuto una telefonata dalla signora F e dalla signora G., che nel frattempo erano arrivate ad Amburgo, Le due tedesche le avevano comunicato che la polizia italiana aveva trattenuto i loro documenti e perciò non potevano farsi identificare dalla polizia confinaria tedesca all'aeroporto. L'agente tedesco aveva già minacciato in questo caso un trattamento di riconoscimento da parte della polizia scientifica al fine di accertare la loro identità che a lui, nonostante il trasferimento avvenuto per opera delle autorità italiane, non sembrava chiara. In seguito alla telefonata si era potuto trovare la procedura, avvisare telefonicamente i genitori di una delle donne in modo che andassero a prendere la figlia e quindi identificarla. L`altra aveva potuto confermare la sua identità grazie alla patente di guida.

Nel corso della serata e nella notte tra il 25 e 26 luglio i membri della commissione di coordinamento di Milano e il Consolato Generale tedesco riferivano che tutte le donne trattenute nella prigione di Voghera e gli uomini trattenuti in quella di Pavia, che erano stati arrestati nella notte fra il sabato 21 e la domenica 22 luglio, erano stati liberati. Anche le persone visitate nell'ospedale erano ormai libere. I giudici non avevano potuto trovare nessun motivo per trattenerle in arresto. La polizia se n'era andata. Per motivi di salute comunque i feriti dovevano rimanere ancora in ospedale.

Anche il deputato Ströbele era stato informato nella notte, nel corso di lunghe telefonate, che gli scarcerati erano stati caricati su un bus e portati in Germania con l'accompagnamento della polizia.

Incontro con il questore di Genova

Mercoledì pomeriggio (25 luglio), la signora Console Generale telefonando dalla sua macchina con il telefonino era riuscita a fissare un incontro con il questore (presidente della polizia) di Genova per il mattino successivo.

Il questore Colucci aveva ricevuto i visitatori giovedì mattina (26 luglio). Ai presenti si era aggiunto il capo della polizia nazionale, Mortola.

Il questore aveva spiegato inizialmente i metodi adottati in generale dalla polizia. Alla domanda su come si era arrivati all'irruzione della polizia nella scuola Diaz e alla dura azione della polizia con molti feriti, aveva risposto che i responsabili del Genoa Social Forum si erano rivolti precedentemente alla polizia per comunicare che nella scuola c'erano degli individui appartenenti al "Black Block" e che perciò non riuscivano più a controllare la situazione. Diceva di conoscere i nomi di quei responsabili del Genoa Social Forum, ma che non voleva svelarli. Inoltre le autovetture della polizia erano state bombardate da bottiglie e pietre lanciate dalla scuola. Perciò la polizia era dovuta entrare. Le porte, riferiva, era barricate perciò si era dovuti irrompere con la forza. I poliziotti erano stati poi attaccati all'interno della scuola, uno di loro addirittura da un uomo con un coltello. Il poliziotto non era stato ferito solamente perché indossava un giubbetto di sicurezza. Poteva darsi che singoli poliziotti avessero reagito troppo duramente. Qualsiasi abuso sarebbe comunque stato indagato e perseguito. Alla domanda se la polizia sarebbe stata disposta a collaborare con una commissione internazionale per fare chiarezza sui fatti, non aveva respinto la proposta, bensì aveva rimandato al Ministro dell'Interno che avrebbe dovuto decidere.

Alla domanda sugli espulsi, rimandati in Germania la notte prima, aveva fatto riferimento alla Convenzione di Schengen che lo permette. Aveva pure sottolineato che gli espulsi sarebbero potuti rientrare in qualsiasi momento in Italia senza alcuna limitazione.

La prigione di Pavia

Dopo il colloquio con il questore i deputati erano andati nel carcere di Pavia, facendo un viaggio in macchina di un'ora e mezza. In questo carcere si trovavano ancora quattro giovani tedeschi dopo le scarcerazioni del giorno precedente. I deputati aveva incontrato lì il funzionario del consolato che, il giorno precedente, per cinque ore aveva aspettato davanti al carcere per parlare con i prigionieri tedeschi, ma a cui era stato negato l'accesso. Con difficoltà erano riusciti a convincere entrambe le direttrici del carcere che si dovevano lasciar entrare i deputati. Solamente dopo una lunga attesa e dopo aver consultato il pubblico ministero era stata fatta entrare anche la deputata Buntenbach.

Il prigioniero, signor H., ha riferito che era stato per una settimana in viaggio da camping a camping con i signori I. e J.. Erano venuti alla manifestazione a Genova. Domenica pomeriggio, verso le ore 12.30, volendo uscire dalla città avevano sbagliato strada. Ad un'uscita dell'autostrada erano stati fermati dalla polizia che aveva controllato la loro autovettura. Nella macchina erano state trovate stanghe di ferro, coltelli e maschere per coprire il viso. Erano stati accompagnati alla stazione della polizia, scortati da un'auto della polizia davanti e una dietro a loro, con la minaccia che: "Se volete scappare, spariamo". Nella stazione di polizia erano stati manganellati senza evidente motivo. H. ha fatto vedere i segni delle manganellate sulla sua faccia. La polizia li aveva esortati a sottoscrivere un documento in lingua italiana. Loro si erano rifiutati perché non erano in grado di leggere l'italiano. Li avevano minacciati e picchiati con i manganelli finché non avevano firmato. Gli avevano tagliato i capelli lunghi con un coltello e gli avevano portato via tutti i documenti. Poi erano stati portati nella prigione di Pavia, dove sono stati messi in isolamento. Fino a quel momento non avevano neppure potuto fare un giro nel cortile. H. ha raccontato che non avevano potuto avere nessun contatto con i loro familiari o con il consolato tedesco. Non li avevano neppure lasciati telefonare adducendo come motivo il fatto che non avevano soldi italiani.

Il giorno prima (25 luglio) erano stati condotti di fronte ad una signora giudice da cui erano stati interrogati. Era presente un avvocato con il quale tuttavia non avevano potuto intendersi perché non capiva neppure una parola di tedesco. Davanti al giudice lui non aveva fatto dichiarazioni. Era pure presente un interprete di tedesco che però lo parlava male. Avevano pure avuto l'impressione che non avesse tradotto tutto quello che avevano detto.

Loro, proseguiva, avevano voluto dire alla signora giudice che le stanghe di metallo e i coltelli erano in macchina perché loro facevano una vacanza in camping. Di maschere invece non ne avevano avute. Poteva solo trattarsi di quelle cose che a Genova si trovavano per la strada e con le quali i manifestanti volevano proteggersi dal gas lacrimogeno. Loro le avevano raccolte e tenute. Anche un paio di occhialini da nuoto. Avevano ricevuto un verbale in lingua tedesca sugli oggetti, trovati nella loro macchina. Una copia l'hanno consegnata ai deputati.

Il prigioniero, signor I. era presente quando è avvenuto il colloquio con il sig. H.. Il sig. I. ha confermato quanto raccontato da H. ed ha aggiunto che è stata sequestrata una piantina di Genova che si trovava nella macchina e sulla quale era stata segnata la zona rossa durante il vertice del G8. La piantina era stata distribuita dal Genoa Social Forum a scopo d'orientamento. Proprio a causa di questa piantina li avevano messi sotto accusa. I. ha fatto presenti anche i segni di colpi sotto i suoi vestiti. Il prigioniero ha anche detto che loro dovevano indossare le camicie della prigione e non avevano avuto neppure uno spazzolino da denti perché gli avevano portato via tutto. I deputati rappresentavano i loro primi visitatori dal momento dell'arresto avvenuto domenica (22 luglio) e il loro primo contatto con l'esterno.

Poi sono stati portati i prigionieri, signori J. e K. provenienti dalla Germania meridionale. Il sig. J. era stato arrestato assieme agli altri due. J. ha raccontato i fatti come già descritti da I. e H. pregando di avvisare tempestivamente la sua famiglia.

K. ha riferito di essere stato solo per breve tempo nella scuola Diaz per lavarsi i denti e dare un'occhiata in Internet. Non voleva pernottare lì. Quando ha fatto irruzione la polizia, lui si trovava nella sala in basso. Violenza o resistenza non è stata esercitata dai presenti. Lui stesso era fuggito al primo piano e si era nascosto lì quando aveva visto come i poliziotti davano addosso a tutti. Lì era stato arrestato. Durante il colloquio è arrivata la deputata Buntenbach. K. ha continuato a raccontare che la polizia l'aveva trovato nel suo nascondiglio nella scuola. Mercoledì era stato condotto poi davanti al giudice che aveva deciso, dopo l'interrogatorio, di emettere un mandato di cattura. Come motivazione aveva addotto l'autovettura con cui K. era arrivato e nella quale c'erano due zaini con abiti neri e oggetti per camuffarsi. Nel bus era stata trovata la carta d'identità di K.. Il prigioniero ha informato che l'auto apparteneva alla sua ragazza, che era stata pure arrestata e poi liberata il giorno prima dal carcere di Voghera. L. ha chiesto di avere un avvocato. Già il giorno prima aveva cercato di mandare un fax all'ambasciata tedesca per riuscire a raggiungere un avvocato. Durante l'interrogatorio del giudice, infatti, era stato praticamente privo di assistenza legale. K. prega di informare suo padre e la ragazza in Germania. Gli zaini appartenevano a persone a cui avevano dato un passaggio in macchina.

Durante la visita era arrivato un deputato del parlamento italiano, appartenente al partito dei verdi. Con lui si accordava un successivo incontro.

Da una telefonata alla ragazza del sig. K., venerdì, 27 luglio, è risultato che quest'ultima era stata veramente in carcere a Voghera fino a mercoledì, data in cui era stata liberata. Diceva che dopo il suo arresto nella scuola era stata portata con altre donne fermate in una stazione di polizia nelle vicinanze di Genova. Lì le donne avevano dovuto rimanere tutta la notte con le mani alzate alla parete. Le stanze erano vuote. Sul pavimento e sulle pareti c'erano schizzi di sangue. I poliziotti le avevano costrette a rimanere in piedi con le mani alzate contro la parete. Le avevano insultate e avevano sputato loro addosso. Con i manganelli avevano divaricato le loro gambe e le avevano tenute separate. L'automobile appartiene a lei. Gli zaini che avevano trovato in essa non appartenevano né a lei, né al suo ragazzo, bensì a due persone a cui avevano dato un passaggio in macchina.

Sopralluogo nella scuola Diaz

Prima del ritorno in Germania in aereo del deputato Ströbele, i deputati e la signora Console Generale avevano vistato ancora il luogo in cui erano avvenuti i fatti di domenica notte.

La scuola Diaz è un vecchio edificio, circondato da ponteggi. Un recinto di rete metallica di circa cinque metri di altezza, separa la scuola dalla strada. Il cortile antistante si raggiunge attraverso un cancello che è chiuso e bloccato. L'edificio della scuola si trova rientrato a circa 15-20 metri dal recinto. Evidentemente stanno ristrutturandolo. I ponteggi stanno lì chiaramente da lungo tempo. Sono fatti di tubi di metallo e assi ad essi fissate. Ci sono anche dei pezzi di tubi sparsi tutt'intorno. Per riuscire a gettare oggetti dalle finestre della scuola si dovrebbero avere delle abilità acrobatiche.

Prigione di Ponte Decimo a Genova

A Genova ci sono due prigioni in cui erano stati incarcerati dei tedeschi: Ponte Decimo, dove c'erano otto donne e tre uomini, e Marassi, dove si trovavano altri sei uomini. Per ragioni di tempo i deputati Buntenbach e Ströbele non sono più riusciti a visitare quest'ultima. Quando la deputata Buntenbach è giunta assieme ad un funzionario del Consolato Generale a Ponte Decimo verso le ore 16.30, si stava svolgendo l'udienza di riesame della carcerazione delle otto donne. Sette di loro (L., M., N., O., P., Q. e R.) erano state arrestate il lunedì assieme ai tre uomini, che ora erano in carcere nella prigione di Marassi, mentre si trovavano in viaggio per uscire dall`Italia con due camper. L'ottava donna, la signora S., era stata arrestata adducendo accuse simili, però era stata fermata altrove.

Dopo un po' più di un'ora di ritardo la deputata Buntenbach ha potuto parlare con tutte le otto donne in gruppo. Il trattamento in prigione, era buono, secondo le loro dichiarazioni. Erano in quattro in ogni stanza e avevano contatto con gli avvocati. Erano state anche assistite dal Console Generale di Milano. L'udienza di riesame della loro carcerazione non aveva portato alla loro liberazione, come avevano sperato, ma ad una misura di carcerazione cautelare. Alla domanda su quali accuse erano state mosse contro di loro, la prima risposta spontanea era "abiti neri", per il resto si trattava del contenuto dei camper, dei diversi martelli trovati nella cassetta degli attrezzi nonché dei coltelli e simili. Non erano state accusate né singolarmente né in gruppo di delitti connessi ai fatti relativi alla manifestazione o di altri concreti delitti.

L'accusa riguardante gli oggetti sequestrati nei camper si basava sul § 419 del codice penale italiano, che nel diritto tedesco si potrebbe paragonare ad una mescolanza fra il § 129a del codice penale tedesco e la violazione grave dell'ordine pubblico. La pena minima prevista è di otto anni. Le donne avevano già accordato con i loro avvocati di presentare il giorno dopo un'impugnazione contro il risultato dell'udienza di riesame della carcerazione. La deputata Buntenbach ha avuto ancora l'occasione di incontrare brevemente gli avvocati. Se l'impugnazione, che avrebbe portato ad una seconda udienza di riesame della carcerazione entro 10 giorni, avrebbe avuto un esito negativo, avrebbe deciso la giustizia se aprire o meno il processo. In Italia la procedura può durare anche un anno. In questo periodo le donne non avrebbero potuto lasciare il paese. Al massimo avrebbero potuto essere messe agli arresti domiciliari, però in Italia. In tal modo la pena le avrebbe colpite già prima del processo e della sentenza, e cioè l'interruzione probabilmente irreparabile della loro biografia. Non avrebbero più potuto lavorare o studiare e avrebbero potuto vedere a malapena i propri figli.

La signora S. era disperata per questo motivo. Anche la difficoltà di avere contatti con l'esterno, con amici e familiari, le pesava molto perciò in quella situazione era difficoltoso porle delle domande. S. ha comunque sottolineato più volte che la polizia al momento dell'arresto aveva introdotto degli oggetti nella macchina che non le appartenevano e che lei non aveva mai visto prima. Il verbale relativo a tali oggetti era ora il punto su cui si basava l'ordine di carcerazione preventiva.

Dopo questo colloquio, durato fino a poco prima delle ore 19.00, la deputata Buntenbach aveva avuto ancora l'occasione di parlare con i signori T., U. e V. provenienti dalla Germania orientale. I tre erano stati arrestati il lunedì sera (23 luglio) e dallo scorso martedì, 24 luglio, erano stati tenuti in carcere a Ponte Decimo. Il funzionario consolare e la deputata Buntenbach, arrivati giovedì sera, avevano rappresentato il primo contatto avuto con l'esterno. Fino allora non era stato permesso loro di telefonare perché non avevano soldi. Non aveva avuto luogo neanche un incontro con un avvocato o con il consolato.

I giovani mostravano evidenti ferite, di cui la deputata Buntenbach se ne era potuta appurare direttamente. Il sig. U. aveva due occhi neri dovuti ai pestaggi. Il sig. T. aveva un labbro spaccato. Entrambe le ferite erano ormai in via di guarigione. Alla domanda su chi aveva loro provocato quelle ferite, avevano raccontato del loro arresto. Quando, lunedì sera (23 luglio), erano andati a prendere la loro automobile, parcheggiata in un parcheggio di Genova, l'avevano trovata aperta. Dei poliziotti stavano controllando degli oggetti che si trovavano al suo interno. Tale controllo era già avvenuto lo stesso giorno, tuttavia senza ulteriori conseguenze. Quando erano arrivati alla macchina, erano stati arrestati - di tentativo di fuga o di resistenza contro l'ordine pubblico, come avevano affermato successivamente i poliziotti, non poteva proprio parlarsi secondo loro. Erano stati portati ad una stazione di polizia, gettati a terra, picchiati e malmenati per quattro ore a colpi e calci: "Quando un nuovo poliziotto entrava, continuava pieno di nuove energie ...". Poi erano stati lasciati per terra davanti ad una cella della stazione di polizia, in seguito erano stati di nuovo malmenati, e più tardi tirati dentro la cella. Martedì, 24 luglio, nelle prime ore del mattino, erano stati portati nel carcere di Ponte Decimo, dove non erano più stati sottoposti a maltrattamenti.

Ci hanno informato che il verbale sul contenuto delle loro automobili non era corretto, bensì conteneva, ad es. un pezzo di stoffa strappato dall'uniforme di un poliziotto che loro non avevano mai visto e che sicuramente non apparteneva a loro. Avevano sottoscritto il verbale solamente perché li avevano minacciati di altri maltrattamenti, se non l'avessero fatto. Uno dei tre aveva avuto un cane con sé e si preoccupava di dove poteva essere rimasto. Tutti e tre hanno pregato insistentemente di poter avere un avvocato che potesse assisterli all'imminente udienza di riesame del proseguimento dell'incarcerazione e hanno pregato il consolato di avvisare i loro familiari.

Dopo il suo ritorno a Genova, la deputata Buntenbach aveva trasmesso al Genoa Social Forum la preghiera di trovare un avvocato per i tre uomini e, più tardi, durante il viaggio verso Milano, aveva riportato in fiducia le diverse concrete preghiere dei carcerati ai tedeschi del gruppo di coordinamento rimasti sul luogo. Il loro impegno nel tentativo di coordinare il caos e assistere i diversi carcerati, è immenso perciò necessita e merita tutto il supporto possibile.

Conclusioni

1. A nessuna delle prigioniere tedesche e a nessuno dei prigionieri tedeschi, a cui i deputati avevano fatto visita e con cui avevano parlato, viene sollevata l'accusa di aver partecipato personalmente a concrete azioni di violenza. Tutti sono stati arrestati per molte ore o giorni dopo le ultime manifestazioni e nessuno nelle vicinanze del luogo in cui si svolgevano le manifestazioni stesse. Da quanto noto, la medesima cosa era avvenuta anche per gli altri arrestati provenienti dalla Germania.

2. Le accuse che avevano condotto all'emanazione dei mandati di cattura contro i tedeschi, ancora trattenuti nelle prigioni, hanno come oggetto il sospetto dell'appartenenza al "Black Block". Tale sospetto deve essere scaturito dall'aver trovato oggetti nelle automobili come martelli, stanghe di metallo, coltelli, che - se fossero stati portati con sé durante una manifestazione - avrebbero potuto motivare il sospetto di reato. Per una vacanza in camping o in camper si tratta invece di oggetti "normali". Ai deputati non sono state citate né documentazioni né prove che tali oggetti sarebbero stati usati effettivamente e da chi nell'ambito delle manifestazioni. Si trovavano giorni più tardi nelle macchine dove dovrebbe averli trovati la polizia.

3. I verbali della polizia relativi a quanto trovato nelle autovetture sono molto dubbi. Sembra che le firme dei prigionieri, poste sotto tali verbali, siano state ottenute con minacce e manganellate. I prigionieri non potevano leggere e capire i verbali perché alcuni erano scritti in lingua italiana. I prigionieri hanno affermato di non aver mai visto certi oggetti.

4. La credibilità delle informazioni fornite dalla polizia è alquanto dubbia anche perché si tratta degli stessi poliziotti che avevano brutalmente picchiato, maltrattato e umiliato i prigionieri, quindi da persone su cui pende il grave sospetto di aver violato loro stessi gravemente la legge e di essersi resi punibili in modo rilevante dalla stessa. Ciò deve essere assolutamente tenuto nel giusto conto durante la seconda udienza per il riesame della carcerazione e non può essere chiarito appena durante il processo principale.

5. I racconti dei prigionieri, arrestati nella scuola Diaz, sembrano credibili. Sono infatti confermati dalle ferite constatate. Inoltre sono praticamente coincidenti fra di loro. Poiché i prigionieri, dal momento del loro arresto, non avevano avuto la possibilità di comunicare fra di loro o con terzi - erano stati tenuti isolati e severamente sorvegliati in diversi carceri e diversi ospedali - è escluso che si siano messi d'accordo sulle dichiarazioni da fare. Le loro relazioni vengono pure confermate da altre persone che avevano potuto osservare gli avvenimenti dall'esterno della scuola e al suo interno.

6. Già l'arresto di quasi cento persone nella scuola Diaz sembra essere avvenuto senza una sufficiente motivazione legale. In tutti i casi, con un'unica eccezione, i prigionieri erano stati liberati non appena un giudice aveva potuto deciderlo.

7. Soprattutto però i prigionieri, arrestati nella scuola, avevano subito gravi ferite senza che per esse fosse stato offerto un motivo o un'occasione concreta. Le forti botte date dai poliziotti con i manganelli sulle teste nude avevano messo a repentaglio la vita dei picchiati.

8. Non si individua alcuna giustificazione per tale violenza esercitata dalla polizia nella scuola Diaz. Anche tenendo conto che durante le manifestazioni in occasione del vertice del G8 dalle fila dei manifestanti erano partite azioni di violenza, ciò non giustifica l'impiego brutale della violenza da parte della polizia nella scuola, molte ore dopo la fine della manifestazione.

9. Il trattamento subito dalle persone arrestate nella scuola e più tardi a Genova nelle stazioni di polizia è stato confermato da perizie obiettive. Gli arrestati erano arrivati incolumi mentre, al rilascio dalle stazioni di polizia, mostravano segni di botte in diversi punti del corpo, anche sulla testa.

10. Il fermo dei prigionieri, da domenica, 22 luglio, a mercoledì o giovedì, 26 luglio, senza la decisione del giudice, il divieto di prendere contatto con i familiari più stretti e con i funzionari del consolato tedesco sono fatti accertati. Non c'era alcuno motivo evidente perché la decisione del giudice sul proseguimento dell'incarcerazione non è stata presa al più tardi il giorno seguente l'arresto, e cioè lunedì 23 luglio. Non c'è neppure nulla che giustifichi il fatto che i funzionari del consolato tedesco avevano dovuto aspettare molte ore davanti alla prigione, come a Pavia, e non avevano potuto parlare con i carcerati. Non è stato citato e non è neppure evidente nessun motivo per cui i prigionieri non avrebbero dovuto aver contatti con i propri congiunti. In particolare per quanto riguarda gli ammalati gravi, ricoverati negli ospedali genovesi di San Martino e Galleria, questo trattamento è assolutamente incomprensibile e non è conciliabile con i minimi standard umanitari.

11. L'espulsione dei prigionieri, a cui non era stata mossa nessuna accusa di aver commesso un reato, non è conciliabile con il fondamento europeo della libertà di circolazione dei cittadini. Il divieto di rientro in Italia per alcuni degli espulsi non ha una motivazione legale e contrasta pure con le informazioni che i deputati hanno ricevuto dal questore durante la loro visita presso lo stesso a Genova.

12. I rapporti e i fatti constatati danno adito al grave sospetto che in numerosi casi si sono verificate massicce violazioni colpose delle leggi penali, delle disposizioni della convenzione europea sulla tutela dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali nonché delle disposizioni del diritto internazionale.

13. Perciò è assolutamente necessario far luce esaurientemente e senza mezzi termini su tutti gli atti di violenza avvenuti in relazione al vertice del G8 di Genova e in particolare individuarne le responsabilità. L'incarico di far luce su tali fatti dovrebbe essere affidato ad una commissione internazionale, indipendente, formata da personalità fidate ed esperte del Parlamento Europeo. In base alla relazione di questa commissione si dovrebbero poi prendere le necessarie conseguenze giuridiche e politiche.

Berlino, 30 luglio 2001

Annelie Buntenbach, membro del Bundestag tedesco

Hans-Christian Ströbele, membro del Bundestag tedesco